Il fatto è che il nostro eroe, se
è lecito usare questo termine per uno smidollato come lui, era così preso dalle
sue fantasie, che non riusciva più a farne a meno. E quel che è peggio,
l’apprezzamento a buon mercato che gli tributavano gli amici del suo fottuto
giro di biechi individui, non meno fasulli, illusi e sbandati di lui, lo
rassicurava sulla sua presunta genialità e lo spingeva a continuare, per il
disdoro e l’affossamento del pensiero e della cultura del suo disgraziato
paese, che nel complesso non era messo molto meglio di lui. Non c’era cosa che
egli accogliesse nel suo bagaglio di conoscenze, non c’era oggetto trovato per
terra, non c’era immagine scovata nella rete o vista in televisione, la sera
dopo cena, tra i fumi dell’alcool, che egli non trasformasse ansiosamente nello
stimolo di qualche prodigiosa invenzione, di qualche sogno, di qualche
strampalata fantasticheria, che poi si affannava, non senza un doloroso tormento,
ad imporre a qualcuno come fosse arte della più pura qualità.
Così non fu affatto una novità,
almeno per lui, trovare per terra, accanto a un dannato cassonetto della
stramaledetta piazza vicina alla sua vecchia bicocca, un cappello moscio, e
metterselo sul cranio, fingendo un’espressione fra l’ispirato e l’idiota, per
dare l’idea di essere una specie di poeta, nostalgico e disperato. Quella piazza
era uno specie di misero palcoscenico con quattro alberelli spelacchiati, in
preda al quotidiano girotondo di macchine che gli ronzavano intorno. Né
tanto meno fu una cosa eccezionale, sempre per lui, declamare, conciato a quel
modo, una assurda elegia sul mare e sui gabbiani al tramonto, davanti alla sua
stessa telecamera, poggiata precariamente su una pila di libri. Ne era uscito
un filmato assolutamente ridicolo, nel quale oltretutto lui appariva goffamente
all'inizio e scompariva alla fine, lasciando capire che era lui stesso ad
avviare e spegnere l’apparecchio in modo maldestro, essendo in quella specie di
atelier improvvisato che era la sua fottuta stamberga, solo come un cane. Dopodiché
si era febbrilmente seduto davanti al computer, aveva scaricato il video
poetico, divertendosi pazzamente e l’aveva subito dopo messo in rete, dove
queste sue prove d’artista, per così dire, pullulavano in modo mostruoso così
da ingolfare la banda larga per quanto larga e smisurata potesse essere.
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