Memoria di Roma
Capitolo I
Camminavo per caso e senza uno
scopo preciso per la via che dalla barcaccia semiaffondata punta dritta alla
mirabile cupoletta di Raffaello , quando fui assalito dal nebuloso volteggiare
dei ricordi, come spesso accade a chi non ha altro da fare. La mattinata era
fresca ma soleggiata e sebbene fosse piacevole il passeggio nonché il respiro
lieve di un’aria ventilata, quell’insorgere della memoria era al tempo stesso
una lenta salita della malinconia, per cui si ha un bel dire con il filosofo che conoscere è ricordare perché non è affatto
detto che ricordare sia sempre conoscere. Così mi prese una struggente
nostalgia dell’infanzia, della città serena o presunta tale che ora non è più o
che semplicemente io non vedo più, del dolce sorriso materno, dei giochi poveri
e allegri al viale dei bambini e dei pittori da strapazzo che gioiosi appendevano
i loro discutibili quadri malamente incorniciati a via Margutta. Si trattava di una sorta di paesana festa dell’arte
di seconda mano, di una colorata parodia della pittura, scimmiottata in modo
strampalato e ingenuo da individui abilissimi a mettersi un basco di traverso
sulla zucca e un foulard al collo con studiata nonchalance, ma non altrettanto
abili a dipingere una qualsiasi cosa su una tela. Ma la cosa più malinconica di questa
rimembranza, che in questo caso mi pare, a dir la verità, essere anche
conoscenza, è il fatto che a sessanta anni di distanza dal mio primo incontro
con quella amena banda di imbrattatele, io mi sento ancora uno di loro.
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