martedì 11 febbraio 2014

In ciclo e a piedi o anche “Ciclostile”. Si chiude un ciclo si apre un ciclo. Sembrerebbe un biciclo se non ci fosse di mezzo il numero Tre. C’è sempre di mezzo il numero tre, nel profano non meno del divino. Questo, sebbene Giano sia bifronte, sul fronte della guerra apparentemente, ma soprattutto su quello del tempo, cioè di quello che so dire, quando non c’è e di cui non so dire nulla, quando c’è. Si poteva fare in bicicletta negli anni cinquanta. Dall’Obelisco all’obelisco, dalla Trinità a Galileo, fino alla casa del guardiano a Piazza di Siena. Percorso netto, senza neppure uno schizzo nella vasca. Stessi luoghi, stessi luoghi. Eadem sunt semper omnia. Questione di stile anzi di ciclostile. Ma allora il mutare è apparenza. Sono apparentemente vecchio, dunque pedalo. Del resto anche Fabian Avenarius Lloyd pedalava, o comunque spingeva il suo carrettino per vendere il suo “Maintenant”. Il dopo gli importava poco ma il prima, considerato l’Oscar, invece, moltissimo. Vita che imita l’arte, insomma l’abbiamo capita. SI RACCHIUDE UNA VITA E LA SI METTE IN MOTO+MOSTRA = MOSTRO. E’ il mostro che appare MORTO, abbandonato viscidamente sulla spiaggia di Fregene, alla fine della Dolce Vita, nel film come nella realtà, laddove la Ciangottini ciangotta mormorando con dolcezza verso Marcel. E non c’è ormai alcun ragionevole dubbio che ci impedisca di affermare che Marcello sia Marcel e la Dolce Vita sia Rose Sélavy. Vale a dire ( cioè “Valeria ciangotta ) che Eros c’est la vie, ma anche, come è noto, Arroser la Vie, insomma : brindare ancora! Ma brindare con cosa? Presumo con la bibita energetica dei ciclisti vecchio stampo, quelli stampati in nervi e muscoli dal ciclostile. In Italia venivano e vengono tuttora premiati, ma rigorosamente uno alla volta e uno ogni anno, non di più, con la maglia rosa. Sarebbe il caso di partire dal nastro di partenza al bar Rosati, sebbene Federico preferisse Canova, questo è risaputo. E non a caso i cavalieri erano otto proprio come i lati del pozzo, non so se mi spiego. Tra l’altro il libello che trattava di Christian era comparso non tanto casualmente a Kassel e chissà che il Vettore di conigli non ne fosse al corrente, tra uno squilibrio e l’altro. Squilibrio di tempi e di credenze direi, e sopraggiunta inadeguatezza. Lui, il pozzo ottagono e per questo divino, era al centro della corte, mentre il ciclo rosa si muove e continua a farlo per lo meno fino al primo incrocio. Alla fine tornerà al punto di partenza, Condotti numero ventuno, la Casa la Vita, ma per quanto i deboli abbiano rispolverato il percorso circolare, non siamo più, diciamolo una buona volta, alle rotazioni agricole. Figlio del suo tempo, Fabian Avenarius Lloyd, sebbene avesse spinto un carrettino da fruttivendolo, disdegnò la ruota e puntò su “Adesso” proprio per questo e ci beccò. Cambiò nome più volte e mestiere e donna e alla fine scomparve e, forse proprio per bucare la ruota, salì sulla barchetta al largo del Messico. Ahiaiaiaiaiaiii! Dal canto suo, Christian era semplicemente un pellegrino e come tale portava la sua croce come tutti. Fra questi tutti il pellegrino con la croce di Sant’Andrea, sorretto nelle sue cadute dal Pellegrini, pellegrinò in zona centro, fra negozi e santi, in un vago insensato itinerario che pareva la visita delle Sette Chiese. Non per nulla tornava di moda l’Apocalisse, dalla croce rovesciata del Maligno, fino all’Evangelista avido e oltre. Oltre San Sebastianello e San Lorenzo, oltre Santa Simula e, come si disse, Sant’Andrea ferroviario, laggiù fino all’isola medicinale che a questo punto, con un po’ di mistica fantasia, diventa Patmos. Non indica, infatti proprio da qui, l’apostolo giovane ormai decrepito, il compiersi di un ciclo?