…….io mi sento ancora uno di
loro.
La verità è che a un certo punto
della vita e cioè ad un punto nel quale la vita stessa appare nella sua
evidente inconsistenza e inutilità, si comincia a credere o a voler credere nei
segni di una qualche persistenza oltre il divenire delle cose, i quali segni
altro non sono che i deboli ganci ai quali appendere, per lo meno per un po’, quella vita che si è rivelata così penosamente fragile. Tra questi appigli,
anch’essi a pieno titolo facenti parte del linguaggio, sostituitosi
recentemente interamente al pensiero, vi sono certamente i nomi. Ora, che razza
di nome è quello di via Margutta? Beh, vi sono in proposito diverse spiegazioni
e quella che passeggiando quietamente per la via ad essa parallela, in una rete
di strade nella quale di vere e proprie parallele ve ne sono assai poche,
subito mi viene in mente, è quella legata al teatro locale D’Alibert, nel quale
storie e buffonerie del Morgante e del Margutte erano rappresentate in altri
tempi per la gioia del popolo. Ma ve ne sono altre che, pur risalendo anch’esse
alla letteratura del Pulci, ritengono che invece il nome di Margutte fosse
appiccicato per ischerzo addosso ad un noto barbiere, sito con la sua bottega nella strada medesima
e noto dal canto suo per la sgraziata enormità del corpo e delle membra. Senza
contare la derivazione singolare dal latino “maris guttae”, vale a dire “gocce
di mare”, per indicare con romanesca ironia un ignobile rivolo di scarichi
maleodoranti che dal Pincio discendevano a rallegrar le nari dei poveri
residenti. Ma dove sarebbe in tal caso il sollievo esoterico del nome? Dove il
suo pietoso lenire l’insopportabile sensazione di insensatezza della propria
esistenza? Beh, forse soltanto nel far credere che in virtù di quel nome, di
quel suono e insomma di quella magica parola, i fantasmi buoni e cialtroni di
quei giganti e forse anche di quello smisurato barbiere, continuino a fare
avanti e indietro per quella stretta via in cerca, gli uni, di quel rosso
vellutato palcoscenico sotto le luci e l’altro di enormi barbe da pelare, senza
più trovare nulla, per essersi prolungata la loro mortifera vita di spettri
oltre la dolorosa vita vera dei vivi e della storia.