Tutto è cominciato in un
carcere. In quale luogo infatti il sogno diventa una sorta di essenziale e
prezioso nutrimento dell’anima, se non nello spazio angusto di una cella? Il
carcere era quello della Rocca Papalina di Montefiascone, avamposto militare e fortezza
del cardinale Albornoz, scelto da Giorgio de Finis nel 2016 per un singolare
esperimento creativo ed umano : la detenzione, rigorosamente carceraria, di un
gruppo di artisti, invitati ad allestire o eventualmente a non allestire la
cella che era loro assegnata.
Facendo parte, non senza una
certa ansia, di questa banda di “criminali” dell’arte, mi affidai ai sogni,
stimolato anche dalla lettura di un libro di Renato Curcio e Nicola Valentino,
“Nel Bosco di Bistorco”, nel quale si narrava l’esperienza di alcuni detenuti
dei penitenziari di Alta Sicurezza, che avevano organizzato dei veri e propri
seminari sui sogni, per contrapporre il viaggio notturno della mente alle
quotidiane barriere imposte ai movimenti del corpo .
L’allestimento di Ambiente 1,
rimasto in opera al Macro Asilo dal 17 al 22 settembre 2019, deriva da quella
straordinaria reclusione nel carcere dismesso di Montefiascone, ma con
un’aggiunta “interattiva” che in qualche modo era già emersa allora nei nostri
discorsi di galeotti temporanei : la possibilità di scambiare i sogni e
liberarli così dalla loro recinzione individualistica, per dispiegarli in una
sorta di zona pubblica dove tutti potessero conoscerli. Per questo, ho invitato
ogni visitatore a lasciare in mostra un sogno in forma scritta o disegnata, in
cambio di un mio sogno tra quelli compresi nell’allestimento, sognati
nell’occasione di “Mezza Galera” – questo era il titolo di quell’evento – e poi
nei tre anni successivi fino ad oggi.
A questo scopo ho dislocato
sulle pareti di Ambiente 1 più di cinquecento
foglietti di taccuino in strisce sovrapposte, in una sorta di sciame scritturale, una specie di nuvola, che
ha il ruolo di rendere fisica e quindi visibile la dimensione dell’onirico,
mentre le fotocopie corrispondenti erano accumulate in bell’ordine sul tavolino
di un “ufficio dei sogni”, dove in modo molto istituzionale le firmavo,
all’atto di scambiarne una con il visitatore/sognatore. In questo modo, sogni
dell’artista e sogni del fruitore dell’arte si sono mescolati sulle pareti,
insieme a disegni e frammenti fotografici della mia infanzia, piccoli strumenti
di stimolo della fantasia notturna, galleggianti nella sala attorno al fulcro
del lettino – lo stesso usato nelle notti di prigionia – divenuto, quasi
naturalmente, il lettino dello psicanalista.
Con lo stesso automatismo
sono apparsi qua e là alcuni oggetti, anch’essi legati al ricordo e ai sogni,
le cui ragioni io stesso non ho all’inizio troppo approfondito, anche se poi mi
sono apparse stranamente chiare, un po’ come se loro avessero sognato me. E il
motivo l’ho in un certo senso trovato nel mito, come spesso succede, laddove il sonno – Ipnos – genera tre figli
unendosi con la Notte : Morfeo, Iceto e Fantàso, ciascuno con il suo preciso
incarico. Il primo notoriamente capace di prendere le sembianze dei personaggi
più inaspettati e misteriosi, il secondo di introdurre nel sogno animali
chimerici e curiosamente simbolici e il terzo, costruttore di oggetti bizzarri,
che certamente deve aver preso a cuore il mio lavoro dandomi qualche utile
suggerimento .
Per quanto avessi
programmato con una certa trepidazione la partecipazione del pubblico, non
avrei immaginato mai un desiderio tanto diffuso di raccontare i propri sogni e
di affidarli così di buon grado ad una sorta di spettacolo collettivo. Questo
mi ha fatto pensare, come qualcuno ha giustamente notato, alle attività di
quegli psicologi che utilizzano il racconto collettivo dei sogni come terapia
di gruppo, laddove il racconto di un sogno si intreccia o stimola il racconto e
addirittura il futuro sogno di un altro partecipante. Ma anche un più antico
ruolo collettivo del sogno, allorché un sognatore – funzionario, addetto alla
cerimonia dell’”incubatio”, sognava all’interno di un tempio- ad esempio quello
di Asclepio in Grecia o di Bes in Egitto – e un interprete ufficiale ne
ricavava indicazioni determinanti per l’intera città, per la vita politica,
l’andamento della guerra, le esigenze dell’agricoltura.
Nulla di tutto questo,
purtroppo in Ambiente 1, perché nessuno crede più, nel nostro tempo
disincantato, al ruolo premonitore dei sogni, del genere “Giuseppe col Faraone”
o “Innocenzo III che sogna san Francesco” negli affreschi di Giotto ad Assisi,
ma almeno un incontro di sensibilità, di desideri e aspettative, un breve
dialogo occasionale nel tempo sfuggente di una visita museale, questo sì, è
stato possibile e credo anche che sia accaduto nello spirito aperto e
interattivo di Macro Asilo.
“Due sogni è meglio di uno”
ha cercato infatti di realizzare uno scambio
alla pari, nel quale il sognatore espositore si confronta col sognatore
visitatore su un piano francamente personale, nella speranza di eliminare
distanze e gerarchie. In questa cornice i sogni sono tutti uguali nella loro
diversità, né migliori né peggiori, né favorevoli né ostili, né veritieri né
fallaci. Nella tradizione della Greci antica, a partire da Eraclito, i sogni
giungono, come sostiene anche Penelope che sogna Ulisse nell’Odissea, da due
porte diverse : una d’avorio e una di corno e mentre i primi sono fallaci, i
secondi sono certamente veritieri. Ma oggi i sogni hanno una porta sola che è
quella della psiche alle prese con i propri desideri e i propri delicati
equilibri e per quanto la moderna ricerca
psicanalitica abbia messo in discussione la lezione di Freud, cosa che peraltro
va molto al di là delle nostre competenze, è grazie ad essa che i sogni sono
diventati la “strada maestra” per giungere all’inconscio. Naturalmente per noi
è sufficiente che abbiano stimolato per una settimana un affettuoso e
interessante dialogo.