domenica 18 dicembre 2011

L'associazione Ruota Libera per un ciclismo esteticosostenibile propugna andamenti sussultori e sinusoidali più consoni al carattere decostruttivo della società contemporanea. Propone altresì il filosofo Jacques Derrida come figura di riferimento del prossimo Tour del France. L'associazione, ricostituitasi venti minuti fa, si scioglierà al prossimo piovasco.

martedì 13 dicembre 2011

Ora desidero pregare alcuni santi, nella speranza che vogliano proteggere questo luogo.
Avere dei santi protettori è  fondamentale in Italia e ancora di più a Roma dove i santi si decidono, ed è un po’ come rivolgersi direttamente alla fonte.
I santi sono legati ai luoghi e i luoghi qualche volta generano delle opere d’arte. Ho scelto  dei santi e  dei luoghi e  delle opere d’arte che formano una corona protettiva attorno a questo teatro.

Il primo tra questi è Sant’Andrea della Valle, che non è un santo ma un luogo, dove però è possibile rivolgersi a Sant’Andrea Apostolo. Sant’Andrea Apostolo è importante perché è il primo degli apostoli ad essere chiamato da Gesù.
Come per molti altri martiri il suo martirio è teatrale : per alcuni viene appeso a testa in giù con delle corde, per altri, che avranno la meglio nella tradizione iconografica del santo, viene crocifisso ad una grande croce ad X che da lui prenderà il suo nome.
Quella X è una “Chi” , la prima lettera del nome di Cristo.
Lo ritrae così Mattia Preti nell’abside di Sant’Andrea della Valle e pensando a Michelangelo ne fa una specie di gigante cristiano.
L’unica mancanza nella nostra preghiera a Sant’Andrea è che nella chiesa non sono presenti le sue reliquie. Il suo corpo, infatti, sepolto a Patrasso, ebbe vicende e trasferimenti inenarrabili e a un certo punto la sua testa, sepolta a Costantinopoli fu prelevata da Tommaso Paleologo, governatore della Morea,
e inviata a Roma a Pio II perché in cambio organizzasse una crociata contro i Turchi.
Pio II prese la testa ma la crociata non la fece mai.
In ogni caso, grazie alla delicatezza di Paolo VI, pontefice amante del teatro del cinema e perfino della televisione, le reliquie, tanto il corpo che la testa,  alla fine sono tornate a Patrasso. 
Comunque, anche senza reliquie, preghiamo Sant’Andrea perché ascolterà le nostre preghiere

Il secondo santo che vorrei invocare è sant’Eustachio perché anche questo è il nome di un luogo e il luogo è il rione nel quale ci troviamo.
La chiesa di sant’Eustachio è molto bella ma non così grande e fastosa come sant’Andrea della Valle.
Il vantaggio è che qui le reliquie ci sono e la storia che ce le ha portate è romanzesca e qualche volta teatrale. E’ la storia del centurione romano Placido che, andando a caccia nelle sue terre si imbatte in un bellissimo cervo che ha una croce luminosa sulla fronte e  una voce misteriosa gli dice : “Placido tu vorresti perseguitarmi ma dentro di te mi onori e mi veneri”. Placido si converte e prende il nome di Eustachio che vuol dire “colui che dà buone spighe”, ma dopo la conversione il Signore, nella sua imperscrutabilità, lo sottopone a prove tremende inviandogli terribili sventure.
Emigrato in Egitto, perduta e ritrovata miracolosamente la famiglia, Eustachio torna a Roma dove l’imperatore vorrebbe premiarlo, ma essendo ormai cristiano egli si rifiuta di sacrificare agli dei pagani. Viene condannato ad essere divorato dai leoni nel circo ma quelli non lo degnano di uno sguardo.
Il secondo tentativo di martirio riesce ed è teatrale  perché Eustachio e famiglia vengono introdotti in un grande toro di bronzo il quale viene accuratamente arroventato. Oltretutto l’enorme bovino ha un congegno che trasforma le grida dei disgraziati in un più opportuno muggito e l’odore sgradevole dei corpi stracotti in un delicato profumo d’incenso.
E questo per non disturbare il pubblico.
Tutto ciò avviene nei pressi della casa di Eustachio, dove oggi sorge la chiesa ed è per questo che in uno dei tanti scavi, si sono trovati i resti degli sventurati e si sono raccolti in un’urna che oggi è conservata sotto l’altar maggiore. Ad essi possiamo rivolgere una preghiera. Preghiamo Sant'Eustachio.

Il terzo e ultimo santo che vorrei pregare è S. Ivo ed è così vicino che anche senza reliquie, certamente non vorrà negare un po’ di attenzione a questo teatro.
S. Ivo è un santo molto importante perché è il protettore degli avvocati. Se avere un santo protettore è essenziale, avere un santo avvocato protettore è essenziale due volte come dimostrano le nostre recenti vicende nazionali.
Ma S. Ivo, senza offesa per gli avvocati moderni,  è un avvocato piuttosto stravagante perché stranamente difende i poveri.
La ragione sta nel fatto che egli è un giovinetto straordinariamente buono e così studioso  che i genitori, dei piccoli nobili bretoni di provincia, decidono di mandarlo alla Sorbona presso un grande intellettuale, San Bonaventura da Bagnoregio, praticamente un cervello brillante emigrato dall’Italia.
S.Ivo torna a casa da grande giureconsulto e da allora si impegnerà tutta la vita in difesa dei bisognosi ed
è’ dunque giusto che un tale sapiente abbia intitolata la chiesa della Sapienza
E allora preghiamo S.Ivo
Sulla bellezza della chiesa una sola cosa vorrei dire e cioè che le strane forme metamorfiche che Borromini ha composto in questo edificio gli hanno procurato anche critiche severe, da quelli che lo consideravano una specie di matto invasato dalla fantasia sconclusionata.
Invece quelle forme apparentemente fantastiche, come spesso accade con i matti, sono tenute insieme da uno rigoroso spirito di geometria.
Con la sua sapienza prospettica egli costruisce una macchina scenica, che non dispone davanti ai nostri occhi e invece innalza sopra le nostre teste.
Potrebbe aver pensato al cannocchiale di Galileo puntato verso le stelle e non sarebbe così strano, visto che il committente della chiesa, il cardinale Maffeo Barberini aveva sostenuto e difeso Galileo quando era cardinale, per poi abbandonarlo a se stesso, come è noto, una volta divenuto papa col nome di Urbano VIII.
In ogni caso, al di là delle ambiguità e dei tradimenti della politica e della storia siamo qui nel territorio dell’arte e della sapienza, la sapienza  di Borromini, la sapienza di Galileo, la sapienza di S.Ivo.
Preghiamo  sant'.Ivo, preghiamo sant’Eustachio, preghiamo sant’Andrea.

giovedì 17 novembre 2011

L'associazione Ruota Libera si batte convintamente per l'affermazione di un ciclismo esteticosostenibile. Ruota Libera si è costituita il giorno 17 novembre 2011 in via Reggio Calabria a Roma e si è subito sciolta. L'associazione Ruota Libera non aveva fini di lucro e la traccia del suo intervento resterà fino allo smantellamento della bicicletta. L'associazione era formata da una sola persona.

mercoledì 16 novembre 2011

Il giorno 14 novembre, nell’aula Urbano VIII della facoltà di architettura di Roma 3, l’arch. Ghisi Grutter presenta il suo libro “Immagine Aziendale e Progettazione Grafica”. Intervengono alcuni importanti esponenti della progettazione architettonica e del design : Paolo Desideri, degli ABDR architetti Associati e progettista della nuova stazione Tiburtina,  Antonio Romano, brand designer e fondatore di INAREA, Andrea Mazzoli, membro dell’ADI e presidente della Casa dell’Architettura, Salvatore Santuccio, docente presso la scuola di Architettura e Grafica di Ascoli Piceno, Università di Camerino.
La discussione, stimolata dal bel testo dell’arch. Grutter,  si rivela immediatamente appassionata ed estremamente vivace nelle sue motivazioni e lascia trasparire le molte inquietudini e la complessità dei problemi che segnano in profondità la progettazione grafica e architettonica nel contesto produttivo e creativo dell’Italia di oggi. Si avverte con chiarezza la forza polemica con la quale molti architetti parlano della condizione della città moderna, vivendo e operando per lo più in una metropoli contraddittoria, affascinante e difficile come Roma  e facendo i conti ogni giorno con l’esuberanza esplosiva e spesso discutibile della tanto pubblicizzata architettura degli “archistar”. L’esigenza del tutto legittima ed anche economica della riconoscibilità dell’oggetto architettonico, sembra però acquisire il carattere tipico del “logo”, venendo meno con ciò a quella funzione di caratterizzazione della città come tessuto sociale che gli architetti sentono storicamente come valore. Emerge insomma dalla discussione un conflitto radicale tra contesto e marchio, che rivela un’opposizione profonda tra l’imposizione iterativa e simbolicamente forte del brand e il livello del tessuto polivalente della società e della città, in qualche modo considerato come terreno creativo della politica e della democrazia. Ma sembra al tempo stesso affiorare  la necessità di un dialogo tra i due approcci, nella consapevolezza che la sintesi tipica del marchio costituisca ormai un elemento linguistico ineliminabile del mondo globalizzato, portatore di una carica espressiva straordinaria, e  che d’altra parte la crisi della città imponga una attenzione profonda nei confronti della ricchezza e della forza inventiva presente nel contesto urbano. L’arte contemporanea ha da tempo elaborato dei modelli di intervento che partono dal luogo e dal territorio, dall’azione performativa e dall’analisi sociale, proprio con l’intenzione di contrapporre altre forme a quelle  tradizionali della produzione industriale. L’esplosione della rete ha poi creato un inedito cortocircuito tra tecnologia e creatività diffusa, mettendo con ciò a disposizione della progettazione nuovi inesplorati territori. Gli interrogativi che si aprono di fronte alle nuove rivoluzioni in nord africa e medioriente sollecitano una presa di responsabilità  riguardo al conflitto tra esigenze espressive e vitali di grandi masse desiderose di emanciparsi e modalità linguistiche delle forze economiche dominanti in occidente. E’ decisamente consolante, anche se sarebbe necessario tutto un altro dibattito nel merito,  che nel corso della discussione l’architetto Giorgio Piccinato abbia citato Joseph Beuys.




Così dopo il pozzo il tappeto.
Se non altro perché soprattutto a partire dal XIII secolo Venezia è stata certamente l’importatrice maggiore di tappeti orientali, divenuti in occidente simbolo di ricchezza e preziosità, tanto da apparire sempre più spesso nei dipinti dei pittori più noti e celebrati . si potrebbe fare l’esempio di Holbein o anche di Lorenzo Lotto che molto di frequente ritrassero tappeti finissimi nei loro quadri tanto che è stato attribuito il loro nome a quelli più ricorrenti. 
Il tappeto è essenzialmente un luogo sacro. Esso individua un recinto, uno spazio che in origine coincideva con l’altare sul quale veniva deposto per preparare il sacrificio. Esso è dunque un Templum, come suggerisce  la radice  “Tem” che è la stessa di Temenos e di Temno e si riferisce al Tagliare, al Separare. Nel momento stesso in cui separa lo spazio intorno a sé il tappeto si pone in rapporto con il cielo e diviene dunque essenzialmente tramite di un collegamento dello spirito con le sfere superiori. Non a caso nei tappeti detti Preghiera è spesso presente il Mirab, la nicchia della moschea che è rivolta alla Mecca e che è al tempo stesso simbolo dell’anima. Il recinto protegge dalle forze del male e dalla loro pressione, il che corrisponde bene al tappeto del pozzo nella dicotomia vino/guerra. L’origine liturgica del tappeto sta nel definire un intorno entro il quale l’oggetto sacrificale è separato dal contesto: il Bahris vedico era un “tappeto” d’erba che veniva deposto sull’altare dai sacerdoti indiani almeno dal 1200 a.C. Dello stesso genere era il Barsom iranico, composto di sette fasci di erbe diverse le quali alludevano alle sette vie per raggiungere la conoscenza sacra e questo forse ne spiega la forma prevalentemente naturalistica. Inoltre la stessa tessitura aveva un valore simbolico perché lo stesso destino dell’uomo era tessuto, come è testimoniato dalle Parche della mitologia greca. 

sabato 12 novembre 2011

L'opera d'arte nell'epoca della sua trasferibilità areonautica

Quando ho srotolato il tappeto, Fausto ha gridato :" Tappeto Volante! " ed è atterrato nello stesso luogo dove arriva sempre alla stessa ora da più di vent'anni. E sempre con il suo lieve bagaglio di poesia.