venerdì 13 maggio 2016

ANDREA LANINI E LA MOSTRA-CHE-NON-C’È
Ghisi Grütter



Così scriveva Adolf Loos: «Il miglior disegnatore può essere un cattivo architetto, il miglior architetto può essere un cattivo disegnatore».


Fra qualche giorno si sarebbe dovuta inaugurare una mostra di Andrea Lanini “Cogito ergo interrumpo” che costituisce una sorta di viaggio nella memoria architettonica.
Andrea, infatti, ha studiato architettura a Roma nei leggendari anni ’60, ma non ha poi svolto la professione di architetto ritornando ai suoi amori primigeni: la pittura e la storia dell’arte.
Ciononostante c’è molto di architettonico in tutti i suoi lavori; ad esempio, le sue varie installazioni civiche, a mio avvio, trovano la loro raison d’être nella sensibilità urbana sviluppatasi nel corso degli studi.
Ho avuto già modo di parlare delle opere composite e complesse di Andrea Lanini, un autore che andando in là con gli anni, diventa sempre più prolifico. Le sue mostre sono sempre un’invenzione: un’occasione di stimolo, uno spunto per inventarsi un nuovo percorso creativo. Ne è esempio una recente mostra alla galleria Spazio Y del Quadraro a Roma che proponeva una falsa biblioteca con finti libri di cartone pieni di suggerimenti e di riflessioni sul quartiere, frutto di lunghe passeggiate che l’autore aveva fatto in quella zona. I visitatori della mostra prendevano i libri in prestito, come in una vera biblioteca, e li “completavano” liberamente in una sorta di “opera aperta”, riconsegnandoli poi il giorno della finissage.
Qui invece lo spunto è nato dallo spazio espositivo una volta studio di un architetto che era stato assistente universitario negli anni in cui Andrea ha studiato architettura. Un’insospettata coincidenza? È proprio il mestiere interrotto (negato?) di architetto che dà vita alle opere di Andrea con le sue riflessioni grafiche sui principi dell’architettura moderna arricchite qua e là dalla suggestione del luogo, una delle vie più antiche del rione romano di Trastevere. Così recita lo stesso Lanini:
«Che l’architettura sia per me una cosa interrotta, questo va da sé.
Non so se si sia interrotto qualcosa nella architettura in generale perché, da quello che vedo in giro, l’architettura contemporanea sembra in gran parte fatta di macerie o comunque di qualcosa che finge di cadere e invece sta in piedi.
Mi sono chiesto spesso perché, ma il fatto è che c’è qualcosa nella mia testa che mi impedisce di pensarci.
E’ per questo che l’architettura è per me una cosa interrotta: perché è il mio pensiero su di essa che si è interrotto.
Mi rendo conto che questo non va bene, ma non posso farci nulla.
Il fatto è che l’architettura è qualcosa di utile e adesso sono troppo impegnato ad occuparmi di cose che non servono a niente.
L’arte non serve a niente, ma in fin dei conti questa sua inutilità è importante per gli esseri umani.
L’architettura deve servire a qualcosa, ma sembra che oggi cerchi di essere artistica per avere un senso.
Loos sarebbe stato contrario, anche se le sue case sono opere d’arte e Wittgenstein che era suo amico, ci avrebbe messo il carico, ma per valutare la questione dovrei conoscere l’opinione della sorella.
Come si fa a mettere insieme tutti questi frammenti di pensiero sparsi qua e là?
Non lo so.
Io tutt’al più provo a mettere  insieme dei pezzi carta e di oggetti vari.
Se poi corrispondono a pezzi della mia vita, tanto meglio, se ne potrà parlare con gli amici.
E questa è la cosa più importante».
Nelle opere elaborate per mostra interrotta ci sono frammenti di architetture miste a oggetti più prettamente appartenenti al repertorio laniniano come le strutture ricorrenti che lui disegna e che costruisce anche quali modelli-prototipi. L’io-narrante è costituito dal topolino che rappresenta l’autore e affiora qua e là oltre a essere l’esplicito protagonista del video. Un altro elemento che possiamo riscontrare sempre nelle sue opere è l’ironia e in questo caso la riscontriamo, ad esempio, nella “messa in cornice” delle tavole delle non-architetture.
Riconosciamo nei disegni tra i reperti architettonici villa Stein di Le Corbusier, una machine à habiter, messa a confronto con la machine tout court, un’opera di cartone in scala 1:1 elaborata qualche anno fa da Lanini ed esposta in “vetrina” nella galleria “Opera Unica” in via della Reginella al Ghetto.
I suoi riferimenti architettonici sono prevalentemente quelli del moderno: il tetto giardino, i pilotis, le facciate libere, ma i volumi delle architetture disegnate risentono anche del costruttivismo russo in una grafica direi più post-moderna tra il fumettista e il graffitaro, mentre il segno a pennello non perde mai del tutto la sua tridimensonalità. L’uso di assonometrie più che di prospettive denota una ricerca dello “spazio dell’oggetto” in contrapposizione “all’oggetto nello spazio” come notava a suo tempo Massimo Scolari nei suoi testi sull’axonometria.
Tuttavia le assonometrie di Lanini sembrano quasi delle prospettive sbagliate che recuperano, in tal modo, una certa naïvité. Credo che in questo suo modo di rappresentare si possa leggere l’insofferenza alle regole rigide così come all’eccesso di razionalismo e funzionalismo. Molte delle performances di Andrea Lanini nascono dal desiderio di ribellione e dal rifiuto di seguire un’estetica vincente. L’arte per Lanini è un processo mentale, slitta fuori dall’alveo tradizionale della perizia tecnica, si svuota della comunicazione emotiva che esige una visione contemplativa e dagli occhi passa al cervello; propone, inoltre, un processo di desacralizzazione dell’opera d’arte, una demitizzazione dell’aura che circonda tradizionalmente il capolavoro e l’autore in una critica esplicita del mercato artistico.
Le opere di Andrea Lanini sono unioni di pezzetti frantumati, talvolta scritti insieme ai disegni grafici, spesso collages: la carta di giornale, le fotocopie, l’objet trouvée. Nell’universo poetico cui ispira l’autore, lepoca fondamentale per la sua costruzione artistica è senza dubbio l’inizio del Novecento nelle sue declinazioni Dadaista e Surrealista. Da un lato Man Ray e la sua pittura influenzata dall’incontro con l’avanguardia americana, che incontrò a Parigi il gruppo dadaista cambiando il nome in Man Ray e adeguandosi all'immaginario dell'avanguardia parigina (ma anche il raggismo russo). Dall’altro, il maggior ispiratore delle opere di Andrea è l’insuperabile Marcel Duchamp che, con la sua carica dissacratoria, ha influenzato tantissimi autori del secondo Dopoguerra. A distanza di un secolo Duchamp sembra rappresentare a tutt’oggi un fenomeno con cui ogni artista contemporaneo, in qualche misura, si debba confrontare.




Antinomie chiave
Amore e odio (nei confronti dell’architettura) Ordine e disordine (nell’Universo creativo) Razionale e organico (negli spunti progettuali) Pensiero ed emozione (ispiratori nell’allestimento) Geometria e caos (nel il mondo delle “cose”)