venerdì 5 febbraio 2016

Il fatto è che il nostro eroe, se è lecito usare questo termine per uno smidollato come lui, era così preso dalle sue fantasie, che non riusciva più a farne a meno. E quel che è peggio, l’apprezzamento a buon mercato che gli tributavano gli amici del suo fottuto giro di biechi individui, non meno fasulli, illusi e sbandati di lui, lo rassicurava sulla sua presunta genialità e lo spingeva a continuare, per il disdoro e l’affossamento del pensiero e della cultura del suo disgraziato paese, che nel complesso non era messo molto meglio di lui. Non c’era cosa che egli accogliesse nel suo bagaglio di conoscenze, non c’era oggetto trovato per terra, non c’era immagine scovata nella rete o vista in televisione, la sera dopo cena, tra i fumi dell’alcool, che egli non trasformasse ansiosamente nello stimolo di qualche prodigiosa invenzione, di qualche sogno, di qualche strampalata fantasticheria, che poi si affannava, non senza un doloroso tormento, ad imporre a qualcuno come fosse arte della più pura qualità.

Così non fu affatto una novità, almeno per lui, trovare per terra, accanto a un dannato cassonetto della stramaledetta piazza vicina alla sua vecchia bicocca, un cappello moscio, e metterselo sul cranio, fingendo un’espressione fra l’ispirato e l’idiota, per dare l’idea di essere una specie di poeta, nostalgico e disperato. Quella piazza era uno specie di misero palcoscenico con quattro alberelli spelacchiati, in preda al quotidiano girotondo di macchine che gli ronzavano intorno. Né tanto meno fu una cosa eccezionale, sempre per lui, declamare, conciato a quel modo, una assurda elegia sul mare e sui gabbiani al tramonto, davanti alla sua stessa telecamera, poggiata precariamente su una pila di libri. Ne era uscito un filmato assolutamente ridicolo, nel quale oltretutto lui appariva goffamente all'inizio e scompariva alla fine, lasciando capire che era lui stesso ad avviare e spegnere l’apparecchio in modo maldestro, essendo in quella specie di atelier improvvisato che era la sua fottuta stamberga, solo come un cane. Dopodiché si era febbrilmente seduto davanti al computer, aveva scaricato il video poetico, divertendosi pazzamente e l’aveva subito dopo messo in rete, dove queste sue prove d’artista, per così dire, pullulavano in modo mostruoso così da ingolfare la banda larga per quanto larga e smisurata potesse essere.