giovedì 17 novembre 2011

L'associazione Ruota Libera si batte convintamente per l'affermazione di un ciclismo esteticosostenibile. Ruota Libera si è costituita il giorno 17 novembre 2011 in via Reggio Calabria a Roma e si è subito sciolta. L'associazione Ruota Libera non aveva fini di lucro e la traccia del suo intervento resterà fino allo smantellamento della bicicletta. L'associazione era formata da una sola persona.

mercoledì 16 novembre 2011

Il giorno 14 novembre, nell’aula Urbano VIII della facoltà di architettura di Roma 3, l’arch. Ghisi Grutter presenta il suo libro “Immagine Aziendale e Progettazione Grafica”. Intervengono alcuni importanti esponenti della progettazione architettonica e del design : Paolo Desideri, degli ABDR architetti Associati e progettista della nuova stazione Tiburtina,  Antonio Romano, brand designer e fondatore di INAREA, Andrea Mazzoli, membro dell’ADI e presidente della Casa dell’Architettura, Salvatore Santuccio, docente presso la scuola di Architettura e Grafica di Ascoli Piceno, Università di Camerino.
La discussione, stimolata dal bel testo dell’arch. Grutter,  si rivela immediatamente appassionata ed estremamente vivace nelle sue motivazioni e lascia trasparire le molte inquietudini e la complessità dei problemi che segnano in profondità la progettazione grafica e architettonica nel contesto produttivo e creativo dell’Italia di oggi. Si avverte con chiarezza la forza polemica con la quale molti architetti parlano della condizione della città moderna, vivendo e operando per lo più in una metropoli contraddittoria, affascinante e difficile come Roma  e facendo i conti ogni giorno con l’esuberanza esplosiva e spesso discutibile della tanto pubblicizzata architettura degli “archistar”. L’esigenza del tutto legittima ed anche economica della riconoscibilità dell’oggetto architettonico, sembra però acquisire il carattere tipico del “logo”, venendo meno con ciò a quella funzione di caratterizzazione della città come tessuto sociale che gli architetti sentono storicamente come valore. Emerge insomma dalla discussione un conflitto radicale tra contesto e marchio, che rivela un’opposizione profonda tra l’imposizione iterativa e simbolicamente forte del brand e il livello del tessuto polivalente della società e della città, in qualche modo considerato come terreno creativo della politica e della democrazia. Ma sembra al tempo stesso affiorare  la necessità di un dialogo tra i due approcci, nella consapevolezza che la sintesi tipica del marchio costituisca ormai un elemento linguistico ineliminabile del mondo globalizzato, portatore di una carica espressiva straordinaria, e  che d’altra parte la crisi della città imponga una attenzione profonda nei confronti della ricchezza e della forza inventiva presente nel contesto urbano. L’arte contemporanea ha da tempo elaborato dei modelli di intervento che partono dal luogo e dal territorio, dall’azione performativa e dall’analisi sociale, proprio con l’intenzione di contrapporre altre forme a quelle  tradizionali della produzione industriale. L’esplosione della rete ha poi creato un inedito cortocircuito tra tecnologia e creatività diffusa, mettendo con ciò a disposizione della progettazione nuovi inesplorati territori. Gli interrogativi che si aprono di fronte alle nuove rivoluzioni in nord africa e medioriente sollecitano una presa di responsabilità  riguardo al conflitto tra esigenze espressive e vitali di grandi masse desiderose di emanciparsi e modalità linguistiche delle forze economiche dominanti in occidente. E’ decisamente consolante, anche se sarebbe necessario tutto un altro dibattito nel merito,  che nel corso della discussione l’architetto Giorgio Piccinato abbia citato Joseph Beuys.




Così dopo il pozzo il tappeto.
Se non altro perché soprattutto a partire dal XIII secolo Venezia è stata certamente l’importatrice maggiore di tappeti orientali, divenuti in occidente simbolo di ricchezza e preziosità, tanto da apparire sempre più spesso nei dipinti dei pittori più noti e celebrati . si potrebbe fare l’esempio di Holbein o anche di Lorenzo Lotto che molto di frequente ritrassero tappeti finissimi nei loro quadri tanto che è stato attribuito il loro nome a quelli più ricorrenti. 
Il tappeto è essenzialmente un luogo sacro. Esso individua un recinto, uno spazio che in origine coincideva con l’altare sul quale veniva deposto per preparare il sacrificio. Esso è dunque un Templum, come suggerisce  la radice  “Tem” che è la stessa di Temenos e di Temno e si riferisce al Tagliare, al Separare. Nel momento stesso in cui separa lo spazio intorno a sé il tappeto si pone in rapporto con il cielo e diviene dunque essenzialmente tramite di un collegamento dello spirito con le sfere superiori. Non a caso nei tappeti detti Preghiera è spesso presente il Mirab, la nicchia della moschea che è rivolta alla Mecca e che è al tempo stesso simbolo dell’anima. Il recinto protegge dalle forze del male e dalla loro pressione, il che corrisponde bene al tappeto del pozzo nella dicotomia vino/guerra. L’origine liturgica del tappeto sta nel definire un intorno entro il quale l’oggetto sacrificale è separato dal contesto: il Bahris vedico era un “tappeto” d’erba che veniva deposto sull’altare dai sacerdoti indiani almeno dal 1200 a.C. Dello stesso genere era il Barsom iranico, composto di sette fasci di erbe diverse le quali alludevano alle sette vie per raggiungere la conoscenza sacra e questo forse ne spiega la forma prevalentemente naturalistica. Inoltre la stessa tessitura aveva un valore simbolico perché lo stesso destino dell’uomo era tessuto, come è testimoniato dalle Parche della mitologia greca. 

sabato 12 novembre 2011

L'opera d'arte nell'epoca della sua trasferibilità areonautica

Quando ho srotolato il tappeto, Fausto ha gridato :" Tappeto Volante! " ed è atterrato nello stesso luogo dove arriva sempre alla stessa ora da più di vent'anni. E sempre con il suo lieve bagaglio di poesia.