Il giorno 14 novembre, nell’aula Urbano VIII della facoltà di architettura di Roma 3, l’arch. Ghisi Grutter presenta il suo libro “Immagine Aziendale e Progettazione Grafica”. Intervengono alcuni importanti esponenti della progettazione architettonica e del design : Paolo Desideri, degli ABDR architetti Associati e progettista della nuova stazione Tiburtina, Antonio Romano, brand designer e fondatore di INAREA, Andrea Mazzoli, membro dell’ADI e presidente della Casa dell’Architettura, Salvatore Santuccio, docente presso la scuola di Architettura e Grafica di Ascoli Piceno, Università di Camerino. La discussione, stimolata dal bel testo dell’arch. Grutter, si rivela immediatamente appassionata ed estremamente vivace nelle sue motivazioni e lascia trasparire le molte inquietudini e la complessità dei problemi che segnano in profondità la progettazione grafica e architettonica nel contesto produttivo e creativo dell’Italia di oggi. Si avverte con chiarezza la forza polemica con la quale molti architetti parlano della condizione della città moderna, vivendo e operando per lo più in una metropoli contraddittoria, affascinante e difficile come Roma e facendo i conti ogni giorno con l’esuberanza esplosiva e spesso discutibile della tanto pubblicizzata architettura degli “archistar”. L’esigenza del tutto legittima ed anche economica della riconoscibilità dell’oggetto architettonico, sembra però acquisire il carattere tipico del “logo”, venendo meno con ciò a quella funzione di caratterizzazione della città come tessuto sociale che gli architetti sentono storicamente come valore. Emerge insomma dalla discussione un conflitto radicale tra contesto e marchio, che rivela un’opposizione profonda tra l’imposizione iterativa e simbolicamente forte del brand e il livello del tessuto polivalente della società e della città, in qualche modo considerato come terreno creativo della politica e della democrazia. Ma sembra al tempo stesso affiorare la necessità di un dialogo tra i due approcci, nella consapevolezza che la sintesi tipica del marchio costituisca ormai un elemento linguistico ineliminabile del mondo globalizzato, portatore di una carica espressiva straordinaria, e che d’altra parte la crisi della città imponga una attenzione profonda nei confronti della ricchezza e della forza inventiva presente nel contesto urbano. L’arte contemporanea ha da tempo elaborato dei modelli di intervento che partono dal luogo e dal territorio, dall’azione performativa e dall’analisi sociale, proprio con l’intenzione di contrapporre altre forme a quelle tradizionali della produzione industriale. L’esplosione della rete ha poi creato un inedito cortocircuito tra tecnologia e creatività diffusa, mettendo con ciò a disposizione della progettazione nuovi inesplorati territori. Gli interrogativi che si aprono di fronte alle nuove rivoluzioni in nord africa e medioriente sollecitano una presa di responsabilità riguardo al conflitto tra esigenze espressive e vitali di grandi masse desiderose di emanciparsi e modalità linguistiche delle forze economiche dominanti in occidente. E’ decisamente consolante, anche se sarebbe necessario tutto un altro dibattito nel merito, che nel corso della discussione l’architetto Giorgio Piccinato abbia citato Joseph Beuys.
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Il giorno 14 novembre 2011, nell’aula Urbano VIII della facoltà di architettura di Roma 3, l’arch. Ghisi Grutter presenta il suo libro “Immagine Aziendale e Progettazione Grafica”. Intervengono alcuni importanti esponenti della progettazione architettonica e del design : Paolo Desideri, degli ABDR architetti Associati e progettista della nuova stazione Tiburtina, Antonio Romano, brand designer e fondatore di INAREA, Andrea Mazzoli, membro dell’ADI e presidente della Casa dell’Architettura, Salvatore Santuccio, docente presso la scuola di Architettura e Grafica di Ascoli Piceno, Università di Camerino.
RispondiEliminaLa discussione, stimolata dal bel testo dell’arch. Grutter, si rivela immediatamente appassionata ed estremamente vivace nelle sue motivazioni e lascia trasparire le molte inquietudini e la complessità dei problemi che segnano in profondità la progettazione grafica e architettonica nel contesto produttivo e creativo dell’Italia di oggi. Si avverte con chiarezza la forza polemica con la quale molti architetti parlano della condizione della città moderna, vivendo e operando per lo più in una metropoli contraddittoria, affascinante e difficile come Roma e facendo i conti ogni giorno con l’esuberanza esplosiva e spesso discutibile della tanto pubblicizzata architettura degli “archistar”. L’esigenza del tutto legittima ed anche economica della riconoscibilità dell’oggetto architettonico, sembra però acquisire il carattere tipico del “logo”, venendo meno con ciò a quella funzione di caratterizzazione della città come tessuto sociale che gli architetti sentono storicamente come valore. Emerge insomma dalla discussione un conflitto radicale tra contesto e marchio, che rivela un’opposizione profonda tra l’imposizione iterativa e simbolicamente forte del brand e il livello del tessuto polivalente della società e della città, in qualche modo considerato come terreno creativo della politica e della democrazia. Ma sembra al tempo stesso affiorare la necessità di un dialogo tra i due approcci, nella consapevolezza che la sintesi tipica del marchio costituisca ormai un elemento linguistico ineliminabile del mondo globalizzato, portatore di una carica espressiva straordinaria, e che d’altra parte la crisi della città imponga una attenzione profonda nei confronti della ricchezza e della forza inventiva presente nel contesto urbano. L’arte contemporanea ha da tempo elaborato dei modelli di intervento che partono dal luogo e dal territorio, dall’azione performativa e dall’analisi sociale, proprio con l’intenzione di contrapporre altre forme a quelle tradizionali della produzione industriale. L’esplosione della rete ha poi creato un inedito cortocircuito tra tecnologia e creatività diffusa, mettendo con ciò a disposizione della progettazione nuovi inesplorati territori. Gli interrogativi che si aprono di fronte alle nuove rivoluzioni in nord Africa e Medioriente sollecitano una presa di responsabilità riguardo al conflitto tra esigenze espressive e vitali di grandi masse desiderose di emanciparsi e modalità linguistiche delle forze economiche dominanti in occidente. E’ decisamente consolante, anche se sarebbe necessario tutto un altro dibattito nel merito, che nel corso della discussione l’architetto Giorgio Piccinato abbia citato Joseph Beuys.